Lavorare insieme per il bene comune
Un insieme di persone che lavorano per il bene comune”. È questa la definizione essenziale di cooperativa di comunità per Dario Torri, presidente della Valle dei Cavalieri, la cooperativa che rappresenta un’eccellenza internazionale nell’innovazione turistica, tanto da aver conquistato, lo scorso gennaio, il secondo posto del premio delle Nazioni Unite Unwto/Award for Excellence and Innovation in Tourism con il progetto “Comunità e resilienza, due cooperative affrontano lo spopolamento” che Valle dei Cavalieri ha realizzato in partnership con la cooperativa di comunità “Briganti di Cerreto” di Cerreto Alpi, in provincia di Reggio Emilia.
Fare cooperativa di comunità, secondo Dario Torri, è infatti “fare in modo che questi paesi non vengano lasciati al proprio destino o abbandonati o lasciati morire”. Per capire davvero cosa significhi, la storia Valle dei Cavalieri è esemplificativa.
La cooperativa è stata creata 25 anni fa per garantire la sopravvivenza di Succiso, piccolo borgo all’interno del parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano, minacciato dallo spopolamento a causa di una frana. Durante gli anni, attraverso il coinvolgimento attivo degli abitanti rimasti, la cooperativa ha permesso la rinascita del borgo attraverso lo sviluppo dell’attività turistica, valorizzandone l’identità culturale. Gli impatti positivi dell’iniziativa si sono tradotti con il ripopolamento del borgo, il miglioramento della vita degli abitanti, l’aumento delle opportunità di lavoro e, quindi, la cessazione dell’emigrazione.
In questo caso si può proprio dire che la cooperativa di comunità si è messa al servizio di un’intera comunità e, in un certo senso, si è identificata con essa. Le priorità della cooperativa di comunità rimangono infatti profondamente legate al territorio, alla gente del posto e allo spirito di servizio per la comunità.
Ma quali sono le caratteristiche che la contraddistinguono? E qual è la loro natura istituzionale?
Le comunità “resilienti”
Una prima evidenza che emerge dalla letteratura sul tema è che le cooperative di comunità rappresentano un fenomeno che si sta sviluppando sia nel nostro Paese che in molte altre parti del mondo e non riguarda solo alcune aree geografiche, come quelle montane, ma vede coinvolti paesi e borghi di pianura e anche quartieri di città: le cooperative di comunità nascono ovunque ci sia la necessità di ricostruire un tessuto economico e, prima ancora, culturale.
Pier Angelo Mori, ordinario di Economia presso l’Università di Firenze, nel saggio “Le cooperative di comunità”, afferma che quando si parla di comunità, non si intende un gruppo di persone con interessi affini, ma una comunità di “residenti all’interno di un territorio”, il cui interesse per il bene/servizio nasce dal fatto che vivono in quel luogo. L’obiettivo della cooperativa non è rispondere dunque ai bisogni di un gruppo sociale ristretto, ma ai bisogni della comunità. Per Mori le cooperative di comunità possiedono tre requisiti: sono controllate dalla comunità, offrono o gestiscono beni di comunità, garantiscono a tutti i cittadini un accesso non discriminatorio.
“Siamo di fronte ad una cooperativa di comunità quando, in presenza di un territorio in condizioni di vulnerabilità e di un fabbisogno specifico, si sviluppa un’attività economica finalizzata al benessere collettivo e non a quello della massimizzazione del profitto”.
Da un altro punto di vista, per essere considerata tale, una cooperativa di comunità deve avere come obiettivo la produzione di vantaggi a favore di una comunità alla quale i soci appartengono. Obiettivo che deve essere perseguito attraverso la produzione di beni e servizi che incidano in modo stabile e duraturo sulla qualità della vita sociale ed economica della comunità.
A contare non è infatti la tipologia della cooperativa (di lavoro, di utenza, sociale, mista, ecc.) o delle attività svolte, ma la finalità di valorizzare la comunità di riferimento.
Le altre caratteristiche che devono essere possedute sono relative a: un interesse generale, la rilevanza economica dell’attività e una rete di soggetti coinvolti.
La definizione di scuola è che “la cooperativa di comunità è uno strumento attraverso il quale le persone, le imprese, le associazioni e gli enti locali possono costruire risposte ai propri bisogni o far crescere idee e progetti per migliorare la qualità della vita delle persone e della comunità nel suo complesso”.
Una comunità di riferimento identificabile e partecipativa è dunque un aspetto fondamentale e fondante delle cooperative di comunità.
A fine 2016 è stato pubblicato il Report finale dello Studio di fattibilità per lo sviluppo delle cooperative di comunità, realizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Irecoop Emilia Romagna. Le esperienze analizzate si collocano geograficamente tre nel Nord Italia e una nel Salento pugliese. A queste testimonianze si sono aggiunte due esperienze di aree urbane e metropolitane di Perugia e di Napoli.
Nello studio si afferma che “siamo di fronte ad una cooperativa di comunità quando in presenza di un territorio in condizioni di vulnerabilità e di un fabbisogno specifico, capace di generare anche un’opportunità imprenditoriale, espresso da una comunità reale si sviluppa una attività economica finalizzata al perseguimento dello sviluppo comunitario e della massimizzazione del benessere collettivo (non solo dei soci) e non a quello della massimizzazione del profitto”.


